Professor Onelio Onofrio Francioso (giornalista, scrittore, sociologo, giurista)

La forza computabile dello spirito incommensurabile

All’improvviso il destino mi ha permesso di ritrovarmi in uno stato contemplativo dinanzi all’opera pittorica di Giuseppe Siniscalchi. Lì credo di avere individuato la risposta a domande che mi assillano da quando, in qualità di fruitore istintivo, incantato mi avvicinavo alle opere degli artisti. Mi sono sempre chiesto: cos’è l’Arte, chi è l’Artista? Così ho ascoltato molti cattedratici e tanti illustrissimi esperti. La premessa da cui non mi discosto si ricollega alle “Memorie” del Re Sole scritte per il Delfino di Francia, là dove si consiglia di non fidarsi troppo degli esperti e delle persone eminenti. Soprattutto nell’attuale contesto storico, non dimentico maiquella convincente lettura, seppure io non sia il Delfino di Francia, nonostante l’assonanza del mio cognome. Quindi, alcune volte, la mente e lo spirito umano potrebbero rivelare gioiosità nelle risposte o spiegazioni che chiunque potrebbe offrire a se stesso, senza l’ausilio dei terzi. E siamo già fin troppo condizionati automaticamente da tutto ciò che ci circonda, come schiacciati al suolo brutalmente e gratuitamente. Evitiamo il sotterramento impotente. Con questi presupposti giungo ad esprimere l’effetto soave che ha originato in me l’osservazione, prima spontanea e poi più accorta, delle opere artistiche di Giuseppe. Col mio umile cuore, di uomo appassionato ricercatore d’emozioni estetiche, la definizione concettuale di artista inizierei a non limitarla, commettendo l’errore di confonderla con un “modus vivendi” di un soggetto umano “inconsueto” o eccentricamente pseudo-originale. Invece, la identificherei con quella capacità di un essere sensibile che non può frenarsi quando scatta fulminea nella mente una forza generante che illumina se stesso. Quel lampo trascinante inesorabilmente verso l’attuazione materiale di ciò che sarà fecondonel divenireopera d’arte,estasiante. Che cos’è l’Arte? Soffermandomi dinanzi alle opere di Giuseppe, mi accorgo che ognuna di essa, volendola immaginare collocata in un qualsiasi tempo cronologico,sarebbe apprezzabilmente compresa, perché fruibile in una realtà “atemporale”. Ammettendo comunque che non dovrei prescindere da quell’elemento affascinante che la fisica quantistica denomina “freccia del tempo”. Nell’opera di Giuseppe noto un tratto che già focalizzava una manifestazione grafico-emotiva di un percepire arcaico dell’era più remota. Là dove, attraverso la volontà di osservazione, si dimostrò che nell’esistenza terrena non si confuse mai la caratterizzante sensibilità evolutiva, con le differenziazioni, nella forma comunicativa, tra tutti gli esseri presenti nel misterioso creato contiguo all’umano. I graffiti preistorici testimoniano la facoltà creativa ben distinta , avveratasi per la causalità dell’attenzione di spirito genuino, quale potrebbe essere soltanto sgorgante dalla curiosità pregna di un candore geniale aperto alla vita. Ecco i primi elementi che invadono i miei occhi che osservano. L’opera di Giuseppe cattura e trasporta in una franca genuinità di uno spirito semplice, candido, schietto, nostalgicamente propositivo. Uno spirito emozionato dalle sue stesse sensazioni, che si espandono per una permanente testimonianza, affinché rimanga come atto pedagogico, trasmesso dall’inconscio primordiale, esplicitante un desiderio di comunicare come le emozioni possano sussistere anche derivanti dalla purezza elementare, abrogando le inquinanti forze del male incombente occultato dall’attuale complessità ormai incontenibile. L’Arte non la giudicherei in funzione di una tecnica operativa, ma la si evince imperativamente da una scelta di una tecnica che possa risultare fedelissima all’emozione che l’ha promossa. Nei secoli della storia dell’arte le tecniche si evolvono, si sperimentano, ma sono relative anche ad alcuni tentativi che talvolta collimerei solamente con le insoddisfazioni innate e di tristi effetti. Tentativi purtroppo accettati e pure osannati come arte. Quei tentativi apprezzati commercialmente da una realtà sociale che, anche tra gli intenditori, è sempre più inidoneaper cogliere l’essenza dell’arte stessa. Motivazioni varie, compresa la frivolezza irriflessiva dell’epoca vivente. L’arte è scambiata nella condizione sinallagmatica delle più artificiose attuali esistenze, spiegabili dialetticamente con quello strumento intellettivo che fu nella fervida intuizione medievale il “principiumindividuationis”. L’artista Giuseppe Siniscalchi è al di fuori di qualsiasi schema inquinatorio-impregnante. La sua opera vive quale testimonianza che l’immanenza divina può permettere di annunciare con l’essenziale emozione creativa, i molteplici principi che fondono le presenze oggettive elaborate dall’essere umano, insieme con la presenza soggettiva che soltanto il Divino può donare nell’ordine universale. Ordine che occorre comprendere nel suo messaggio ricolmo di mera serenità. Giuseppe appare come l’artista spontaneo che cerca il semplicissimo ma misterioso ordine Divino, alieno dalle complicazioni che noi umani proiettiamo nella realtà quotidiana, illudendoci così di imitare, o sostituirci, al volere dell’Eterno. Nei tratti e nei colori usati da Giuseppe discerno invece quel rispetto nei confronti dell’Eterno, quasi volesse in ogni tocco d’arte ringraziare proprio l’eternità, che in quell’attimo gli sta permettendo di lasciare testimonianza di intense emozioni vissute, raccolte, ordinate, con la potenzialità di offrire già oggi una nostalgia del futuro che verrà. La simbologia dell’arte di Giuseppe la percepisco come un atto di sussunzione che trasmuta se stesso quale essere umano genuino, ricoverandosi in uno spazio limitato di una tela, che divenga universale e illimitatamente pulsante. Alcune sue opere sarebbe un delitto incorniciarle, perché trasbordanti alla ricerca dell’infinito. Ma soprattutto i temi trattati dal Nostro artista, nelle opere osservate, spiegano una volontà di immortalare l’ambìta quiete. E proprio la quiete è la scelta che sembra evidenziarsi nella realtà fortemente desiderata, come fosse uno spirito di un samurai, con la spada forgiata di zucchero, che nel tempo ha vagato nell’infinito, per giungere finalmente a proporre un messaggio di pace sovrana. Affinché le sofferenze osservate possano cessare. L’Arte è fruibile senza barriere nel tempo. E’ la semplicità di toccare il cuore, la mente, l’anima di chiunque. E’ il volere infondere gioiosità all’intelletto, anche quando rappresenta temi complessi o difficili. L’Arte è il dono di messaggi d’invito alle riflessioni senza offendere alcuno. L’opera d’arte offensiva non può considerarsi Arte! E’ il ringraziamento dell’umiltà che rispetta la sacralità. E’ il desiderio di un granello di polvere umana che ambisce a lasciare un segno d’amore per la vita eterna. Tutto questo per me è l’Arte. E se fosse così solo per me e non per altri, occorrerà però ammettere che l’Immenso imperscrutabile, quasi fosse una magia, ha permesso che io adesso abbia potuto pensare questi concetti che qualcuno sta leggendo in questi istanti fuggenti. E se ho scritto queste ispirate riflessioni è grazie all’arte di Giuseppe. Senza di lui probabilmente, pigramente, non le avrei mai espresse. L’Arte quindi è stimolo d’amore per la vita, che in una frazione di secondo può immortalare l’infinito rendendolo attuativo, come fosse una realtà onirica che si riflette in uno specchio concreto, anche se sempre delicatamente fragilissimo. E poiché credo che la mente umana sia un algoritmo d’inibita ontogenesi teleologica, penso che solo nell’arte l’umano riscatti se stesso. L’Arte è la Forza computabile dello Spirito incommensurabile. Queste mie opinioni provengono da un umile essere mortale, ma la passione per l’Arte credo possa nobilitare la nostra fragile umanità, salvandoci.

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