La sapienza figurativa silenziosa e senza sosta
L’impegno di recensire l’opera omnia di Giuseppe Siniscalchi, pur accogliendolo con cautela e rispetto, non mi è apparso all’inizio così titanico come successivamente, inoltrandomi nello studio della sua pittura, è poi effettivamente risultato. La stessa metodologia, adottata per realizzare questo contributo critico, è differente rispetto alla consuetudine che caratterizza la mia attività di scrittura. Inizialmente mi sembravano semplicemente dei bei dipinti, compiuti da una persona sensibile e attenta alla cura dei particolari. Sinceramente, non pensavo che per acquisire l’energia necessaria a tale compito, dovessi prima dedicarmi a una fase di studio filologico da una parte e di preparazione spirituale dall’altra. Questo è Giuseppe Siniscalchi e, considerando il mio approccio oramai antico alla storia dell’arte – gli inizi dell’università sono oramai molto lontani – ho dovuto riprendere ogni cosa dal principio, come se cercassi di comprendere dei dipinti per la prima volta, recuperando una dimensione fanciullesca smarrita in un tempo remoto e in un’età senz’altro più felice. Posso assicurare che ne è valsa la pena perché, nel momento in cui ritenevo di prestare un servizio culturale, ricevevo un beneficio spirituale, delicato e armonioso che mi ha fornito una nuova chiave di lettura del mondo ed della vita umana. Ho atteso molto alla realizzazione di questo compito, contravvenendo alle mie buone norme di rispetto dei tempi stabiliti, ma è stato inevitabile un tale rimando al fine di entrare in sintonia non soltanto con l’opera di Giuseppe Siniscalchi ma con il pensiero religioso-filosofico che la sottende. Si comprende meglio, alla luce di quanto detto, come l’impegno di recensire una produzione artistica sia tanto più impegnativa quanto è colta, raffinata e ricca di significati simbolici la personalità di chi l’ha realizzata. E’ importante che lo spettatore-fruitore sia anticipatamente informato, contrariamente a quanto si dice a proposito della spontaneità della visione, della necessità di fornirsi di alcune “dritte” per osservare i dipinti, altrimenti la conseguenza inevitabile sarà una bella rassegna visiva e nulla di più. Giuseppe Siniscalchi è un artista prestato all’avvocatura, sarei tentato di definirlo una “scoperta tardiva del talento”, nel senso che ha deciso di ufficializzare questa seconda attività soltanto negli ultimi anni, tuttavia ha avuto l’abilità di riportare le caratteristiche analitiche e peculiari della sua professione principale nella pittura ottenendo risultati artistici ed extra-artistici degni di grande considerazione. E’ proprio questa necessità di sintesi visiva e culturale che muove l’artista a non trascurare nulla dell’opera-oggetto a cui si dedica, oltrepassando con disinvolta naturalezza il bordo della tela per proseguire l’attività pittorica nella parte retrostante definita solitamente da una composizione verbo-iconica in cui il soggetto visivo è esplicitato da un messaggio verbale che stimola ancor di più il desiderio di conoscenza dell’osservatore coinvolto. Così, dalla felice intuizione di Giuseppe Siniscalchi, è nato il termine Fronteversismo per aasegnare un nome a questa modalità di procedere che consiste letteralmente nel dipingere entrambe le superfici dell’opera, il fronte e il verso per l’appunto. Un termine che, sin dai primi momenti, è sembrato così efficace da far prospettare scenari ben più ampi della produzione, per quanto apprezzabile, di un solo artista come la possibilità di dar vita a un vero e proprio movimento culturale-artistico, religioso-filosofico il cui punto di partenza è la realizzazione di questo catalogo. Ho parlato volontariamente di opera-oggetto perché la poetica del Fronteversismo coinvolge l’opera intesa come prodotto artistico integrale, inducendo il fruitore a cercare con ostinazione la continuità del soggetto o il suo completamento nella parte retrostante, quella che nessuno ha mai osservato. Qui risiede la nuova via dell’arte percorsa dal nostro artista, denominata Fronteversismo, che con raffinata fermezza ci conduce oltre i limiti tradizionalmente imposti dalla cornice – nelle sue opere abolita definitivamente – per donarci quel quid in più, in termini di bellezza e conoscenza, che non sempre si coglie al primo sguardo. Dopo settimane di altalenante riflessione sulle opere, ho compreso che il suo tentativo è, per ambizione culturale, non inferiore a quello compiuto nel pieno del Rinascimento, dall’Accademia neoplatonica di Marsilio Ficino presso la corte di Lorenzo il Magnifico a Firenze, in quanto mentre nella capitale dell’arte si tentava di conciliare due universi apparentemente distanti come il paganesimo e il cristianesimo, cercando di farli confluire nel prodotto finito dell’opera d’arte, Giuseppe Siniscalchi vuole realizzare un’altra forma di conciliazione, altrettanto culturale e spirituale, tra il pensiero occidentale e quello orientale. All’inizio ho parlato di opera omnia poiché, pur essendo stati esclusi alcuni lavori poco attinenti alle finalità che ci si è proposti, tuttavia comprende le diverse fasi dell’esistenza dell’artista, dalle sue primissime origini alla consapevolezza di desiderare ardentemente di impegnarsi nell’attività pittorica, permettendo così al fruitore di avere davanti agli occhi un excursus lungo ma nello stesso tempo eterogeneo, selezionato nella misura necessaria al fine di fornire una catalogo-guida, ossia un itinerario facilmente percorribile sia sul versante artistico, cronologico ed evolutivo sia su quello spirituale che rappresenta il valore aggiunto presente nelle opere. Giuseppe Siniscalchi ha atteso molto tempo prima di optare per la pubblicazione della sua produzione artistica ma quando ha deciso che era giunto il momento, i pezzi del puzzle sono confluiti tutti al loro posto, restituendoci una personalità artistica integrale, nel senso che ha offerto tutto se stesso in un’unica soluzione. Le fasi dell’infanzia, quella giovanile e della successiva maturità le ritroviamo nella versione unica e inedita di questo catalogo, ponendo il pubblico nella condizione di meditare sul processo di una vita che, per quanto complessa e senza nulla togliere al tragitto compiuto, rinasce oggi nuovamente nella paternità e nell’arte, due esperienze che probabilmente, in un punto di contatto, raggiungono la condizione dell’unisono. Il nucleo ristretto delle opere dell’infanzia è stato volontariamente scelto, al di là del risultato artistico che pur nella dimensione infantile acquista una rilevanza, per sancire una partenza, una sorta di fiabesco inizio che l’artista andrà a ripescare nei meandri della memoria e degli scaffali una volta diventato adulto, comprendendo solo allora, come spesso accade, l’intrinseca necessità fisiologica di recuperare e riappacificarsi con il proprio fanciullino pascoliano. Dal disegno Giochi di bambini in cui tracce di nero sparse qua e là alterano la serenità del soggetto rappresentato, sintomo di quanto la sfera interiore dei bambini sia sempre un microcosmo difficilmente sondabile per gli adulti, alla composizione, sempre infantile, di Paesaggio di fantasia, affetta già da una certa intenzionalità artistica nell’uso curato dei colori ad olio, riscopriamo Giuseppe Siniscalchi bambino, pur avendolo conosciuto, la maggior parte di noi, nell’età pienamente matura. Ci sorprendiamo quando, pur restando in questa età, ci imbattiamo nel disegno Equilibrio precario dell’accumulo, il titolo è emblematico, in cui una presunta torre di scatole, ognuna con un segreto da celare o da svelare, si innalza per raggiungere chissà quale smisurato ego, tipico dei bambini in via di definizione della propria personalità. Restiamo affascinati perché difficilmente immagineremmo, nella mente di un fanciullo, una capacità di sintesi visiva a proposito di un concetto filosofico così impegnativo. Questa fase costituisce l’incipit da cui una vocazione è cominciata. Artisti della portata internazionale come Paul Klee hanno compiuto, a livello artistico, un percorso a ritroso per riconquistare la spontaneità della creatività infantile mentre Giuseppe Siniscalchi ha fatto di più, in modo più semplice e autentico intraprendendo una ricerca dei propri lavori scolastici. Quando giungiamo a soggetti come L’alba sul lago o L’alba in montagna, l’artista è poco più che ventenne ma queste composizioni hanno oramai raggiunto la stato di opere e cominciamo a intravedere i caratteri che formeranno la sua koiné linguistica che sarà un formidabile strumento comunicativo per attestare silenziosamente una crescita spirituale. All’interno di paesaggi adagiati nella serenità più soave, un omino, probabilmente l’io dell’artista ma simbolo dell’umanità intera, appare prima decentrato e poi al centro dell’opera, quasi a sancire la lenta ma graduale appartenenza al cosmo, di cui permarrà sempre un religioso rispetto. L’elemento della natura acquisterà una collocazione sempre più stabile nelle opere di Giuseppe Siniscalchi, passando da un’iniziale rappresentazione di forze conflittuali come nella Vela tra le forze della natura in cui il rosso fuoco rende instabile e precario l’equilibrio dell’imbarcazione a vela, metafora della vita umana ad altre opere Cielo stellato e Giornata di sole nelle quali la natura, sia adottando un blue rieccheggiante Van Gogh sia delle velature di una delicatezza impressionista che rimanda a Monet, esprimono la riconciliazione dell’uomo con la parte più profonda di sé. Dopo alcune opere del segno di quelle sopracitate, giungiamo ad altre due intitolate Bici e Astratto-felicità che potrebbero avvicinarsi di più a quelle di un artista-designer che a un pittore puro. Soprattutto la seconda richiama ancora la figura dell’omino che allarga gli arti nel gesto della massima espansione di sé in una versione stilizzata che esprime il culmine di uno stato d’animo gioioso. Si succedono opere in cui il paesaggio, inteso come un mistero che richieda profonda contemplazione, seduce lo sguardo dello spettatore, quasi una magnetica attrazione che in un istante potrebbe allontanarlo definitivamente dal mondo, quello secolare, per catapultarlo in un altro, di natura completamente diversa, in cui i riferimenti materiali vengono meno e l’anima raffigurata dall’imbarcazione a vela la cui unica energia motrice è il vento, viene sospinta verso una meta costantemente indicata dal sole all’orizzonte. Più avanti riscontriamo paesaggi di natura metafisica di cui Il mare di Albertino è un esempio perfetto per la concordanza di una dimensione a-temporale con quei simboli, l’imbarcazione e il sole, avvolto da un’aureola evanescente, che da questo momento in avanti costituiranno la poetica più felice del nostro artista. Penso che in questa fase Giuseppe Siniscalchi abbia messo a punto l’essenza della sua ricerca più profonda, da lui definita sole-wa o più sinteticamente wa per intendere la rappresentazione grafica di una sfera solare laddove wa è la pronuncia di un segno grafico giapponese il cui significato rimanda alla pace e alla solidarietà. Nella produzione seguente il sole con anelli concentrici derivata da un’espansione della propria energia, sarà un simbolo ricorrente, portatore di una filosofia religiosa tendente alla fratellanza umana secondo una mirabile fusione tra pensiero occidentale e orientale. Lo stato di grazia ottenuto da una tale speculazione lo riscontriamo in modo inequivocabile nelle due varianti di un medesimo soggetto, con il sole o con la luna, denominato Donna giapponese meditatrice che esprime con una delicatezza estrema le reciproche influenze tra due entità cosmiche, la donna e il sole-luna wa. Esemplare in tal senso è Paesaggio di campagna giapponese in cui, senza alterare la solenne semplicità del dipinto, l’artista fa congiungere il significato cristiano della croce che taglia il campo, una sorta di lavoro compiuto da un aratro celeste, con l’immancabile sole-wa che appare come discreto supervisore del Tutto. Pur ammettendo l’esplicita matrice del maestro olandese, almeno presente ad uno stato di subconscio nei paesaggi rurali che ci sono proposti, tuttavia è un riferimento artistico completamente trasfigurato nella concezione wa sino ad ottenere un risultato agli antipodi, tanto siamo lontani dalla tensione drammatica degli ultimi anni di Vincent Van Gogh. Qui prevale la calma come stato assoluto, anche quando scende l’oscurità della notte come in Meditazione su campo di grano in cui il punto di intersezione della croce è ravvicinato alla luna per sancire definitivamente la trasversalità della fede. Si rasenta quasi il sublime dinnanzi all’opera Segni di pace in cui il mistero della luna-wa si dilata così tanto nell’indecifrabilità della notte da essere sul punto di confluire in essa trovando un approdo senza ritorno. Si riconquista la spontanea semplicità in Faro della pace attraverso una delicata armonia dei colori e ad un equilibrio tra la verticale del faro e l’orizzonte del mare, un’ opera che forse è la prova manifesta di come possa persistere nell’adulto l’aspirazione all’infanzia scevra di ogni paura puerile. L’opera, che appare come la sintesi di una ricerca svolta sin qui, è Croce e Wa al tramonto in cui la concavità di una vallata diventa la dolcissima culla di un sole in procinto di tramontare che, illuminando di una luce intensa ma destinata a restare ancora per poco, costituisce il fulcro aggregante di un paesaggio sotto cui trova protezione un’umile dimora domestica. Al termine di questa breve rassegna ci preme segnalare le ultime opere, relative all’anno in corso che, probabilmente più delle precedenti, rappresentano quella completa integrazione raggiunta tra il fronte e il verso toccando un lirismo intriso di una dolcissima nostalgia, quasi struggente. Pace sotto le stelle è fortemente evocativa, l’intensità della luce lunare illumina a giorno un paesaggio notturno, di campagna in cui un uomo, finalmente al centro della sua esistenza, non teme più il rapporto con il cosmo; Pace infinita esprime il senso dell’infinito, una vero e proprio naufragio di leopardiana memoria, il cui effetto è ottenuto attraverso la fusione delle ultime colline con un cielo smosso da un vorticoso movimento celeste; Pace e natura simboleggia l’equilibrio perfetto, sapientemente rimarcato dai cerchi nel campo i cui ogni uomo che osserva l’opera potrebbe idealmente collocarsi per godere di una simbiosi con la natura; Pace su campo di grano, il cui soggetto ci ricorda altri già proposti, acquista una sua indiscussa originalità grazie a uno schiarimento della tavolozza che rende l’opera provvista di una luce velata e riposante; Pace nel deserto corrisponde ad un ulteriore alleggerimento cromatico, il colore tenue e delicato del deserto ci rimanda al prodigio delle dune di sabbia che percepiamo come estensione fisica di una accresciuta pace interiore; Pace in riva la mare, per essere compresa nella sua pienezza, merita più delle altre il confronto con la versione da tergo poiché, nel digradare dei toni, l’azzurro del mare si fa più rarefatto proprio come il ricordo dell’estate nella nostra memoria; Notte di pace in Giappone, il titolo è già emblematico, sancisce il mistero nel mistero grazie all’effetto dinamico della luna, il cui movimento rotatorio è ben visibile nel cielo dopo essere stato appena compiuto, quasi si volesse vedere ad occhio nudo ciò che costantemente accade. Infine, non si vuole tralasciare Sole-wa e mango il cui titolo, disarmante quanto il soggetto stesso, ci ricorda, nel caso in cui ce ne fossimo dimenticati, che la perfezione è dei semplici ed è l’unica verità che non tradisce mai. Sono state citate le opere, forse, più di altre, funzionali a definire un percorso umano e artistico particolarmente complesso, nella piena consapevolezza che la buona volontà e il potere della parola possono non bastare quando le emozioni davanti a determinate immagini, dovrebbero rimanere inespresse per evitare il rischio di svilirle con il commento o, peggio ancora, con l’analisi. Tuttavia, non potendo sottrarci al compito della divulgazione culturale e artistica e volendo decantare la bellezza dello spirito nell’esperienza dell’opera d’arte, quale emerge dalle creazioni di Giuseppe Siniscalchi, abbiamo adempiuto a tale impegno nella sincera speranza di esserci riusciti.