Philippe Daverio (critico d’arte, giornalista, conduttore televisivo e docente)

Fronteversismo

“Non ho mai frequentato corsi di pittura né ho avuto “maestri”, salvo quelli delle classi scolastiche e salvo ovviamente i noti personaggi che ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare negli anni come i grandi scultori Kengiro Azuma, Giorgio Berlini ed il pittore Fernando Leal Audirac.”

Così descrive la sua formazione artistica Siniscalchi, e quindi dire che egli sia forse ancora alla ricerca di una professione può sembrare un pochino irriverente data la sua affermata posizione nel mondo forense , ma è quanto la sua autobiografia di parole e di immagini ci restituisce. Forse sarebbe più esatto dire che vive quella precisa tensione tra due vocazioni che ha storicamente caratterizzato più percorsi professionali e artistici di quanto si creda: dal doganiere Rousseau a Winston Churchill tanto per non mirare alto, e tanto per far capire la varietà delle combinazioni possibili. Ma Rousseau non aveva alcuna vocazione per l’amministrazione doganale , mentre Sir Winston ne aveva molta per la politica e, a modo suo, anche per la pittura paesaggistica open air… very British indeed.

Siniscalchi è invece quel tipo di pittore autodidatta che trova nella spiritualità e nella filosofia il necessario ambito di riflessione da cui far scaturire l’invenzione pittorica, e lo va a cercare nella tradizione culturale giapponese , come del resto hanno fatto molti artisti sia visivi che della parola nel XX secolo.

Perché? Innanzitutto per ragioni biografiche vista la composizione della sua famiglia, ma anche per ragioni che vanno al di là di questo pur importante dato, e che possono essere, fondamentalmente, queste: la suggestione e la definitività del gesto nel calligrafismo e la disciplina del pensiero e dell’azione nella mistica giapponesi. Elementi che , leggendo quanto Siniscalchi scrive di sé, ritroviamo sia pure sottotraccia: quando introduce la calligrafia nel suo spazio pittorico, quando manifesta la sua passione per la carta – anche se la Fabriano che lo appassiona non è la carta di riso – quando si lascia coinvolgere dalla ricerca di una prospettiva di pace e di fede stimolata da incontri importanti per la sua ricerca interiore.

Del resto “Arte e Pace” è il motto che ha scelto nella homepage del suo sito internet, e oggi sappiamo quanto sia importante l’impronta digitale di noi stessi che vogliamo affidare alla rete. Dunque un itinerario tra pittura, filosofia, meditazione, fede. E’ logica conseguenza di questo percorso articolato che la dimensione tradizionale della tela vada stretta al Nostro, e che dunque la sua immaginazione si rivolga a tutte le superfici di un quadro: compresa la cornice e il verso, fino a indurlo a teorizzazioni che non sfuggono a una certa ironica serietà come l’idea del “Fronteversismo”, facendo di questa dimensione spaziale un programma pittorico sia pure temperato dalla coscienza dell’importanza dei vuoti come gli ha insegnato la filosofia zen.

L’oggetto quadro (oggi quasi ai margini dell’arte contemporanea) sembra essere per Siniscalchi il punto di riferimento sicuro e imprescindibile per un tipo di espressione pittorica che si colloca nell’ambito del “riconoscibile” e non vuole essere vincolata a definizioni di scuola o di tendenza. Non ha quindi molto senso parlare di influenze o riferimenti alla storia dell’arte, perché qui siamo di fronte a una espressione essenzialmente personale, intima, autobiografica, che affonda probabilmente le sue radici nel bisogno di condividere le tappe delle diverse scoperte culturali che la vita ha sinora riservato a Siniscalchi.

E questa matrice egli rivendica nel suo dettagliato scritto di accompagnamento a questo catalogo, riferendo con puntualità dei diversi passaggi che hanno accompagnato il formarsi di una sua sensibilità artistica in relazione ai diversi passaggi della sua vita familiare prima come bambino e figlio, poi come adulto e padre (e marito). Il lavoro di Giuseppe può essere quindi definito essenzialmente un “diario non verbale”, anche se la parola vi si installa con un suo ruolo simbolico e concettuale. Un diario che documenta il passato ma è pronto a fare i conti con tutte le variabili che il futuro può riservare alla sua personalità dalle diverse ma convergenti dimensioni di pittore, avvocato, conoscitore della cultura giapponese e uomo di fede.

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