Padre Luciano Mazzocchi (cappellano della comunità cattolica giapponese di Milano)

Wa-Pace

Certe parole dicono il senso che contengono già dalle vibrazioni della loro pronuncia, ancor prima che il lettore ne consulti il significato sul vocabolario. Sono le parole che hanno conservato la purezza della loro origine, perché sono le più preziose e care al cuore umano. Una di queste è pace. I latini dicevano pax. Chi pronuncia pace si sofferma sulla a, quasi riposando in pace. L’opposto è guerra e già la pronuncia corrugata dalla u e dalle due r suscita l’impressione di qualcosa irritante. Oltre alle parole, anche i segni e le immagini hanno la capacità di esprimere il senso che indicano, senza emettere alcun suono. Familiari ai popoli del Mediterraneo sono i simboli della pace nel ramo d’ulivo e nella colomba. La colomba è un uccello mansueto che ama lasciarsi rincorrere dai bambini, per cui lo Spirito Santo si affida alla sua immagine quando vuole manifestarsi agli uomini. Il ramo d’ulivo parla di pace con il colore delle sue foglie verdi e argentee. Inoltre produce le drupe per l’olio, l’elemento che dona morbidezza alla pelle essiccata e vigore alle membra stanche. Ad ogni italiano, l’ulivo richiama le ondulate terre del Sud, dove la natura è madre di pace con i suoi panorami che profuma con le sue tante erbe aromatiche. L’ideogramma, nato in Cina e in seguito migrato in Giappone, che dice pace è 和 – wa. L’ideogramma è una immagine, non è un’idea. Come immagine è madre di tante applicazioni, di tante sfumature. L’immagine può essere vista come nome sostantivo, oppure come verbo, oppure come aggettivo. Anche la lingua italiana, oltre il significato originario di la pace come soggetto, combinando con il verbo fare coniuga la parola pace nel verbo pacificare e nell’aggettivo pacifico. La lingua giapponese, senza alcuna combinazione e aggiunta, nell’ideogramma 和 – wa indica la pace come nome, come verbo, come aggettivo. E non solo. Il mio vecchio dizionario degli ideogrammi, il Sumigawa Kanwachūjiten, anzitutto mi descrive da quali spunti gli antichi cinesi hanno composto l’ideogramma 和 . La radicale a sinistra, 禾 ,è l’immagine stilizzata della spiga di riso che, maturando, china la testa. Quella a destra, 口, significa la bocca. La combinazione delle due radicali evoca, quindi, la bocca che chiede il cibo e lo ottiene. La pace è, anzitutto, con – dono della natura, del lavoro e della solidarietà sociale. E’ dono della provvidenza che guida l’universo. Possiamo richiamare un versetto del salmo 8:

“O Signore, nostro Dio, com’è grande il tuo nome su tutta la terra: sopra i cieli si innalza la tua magnificenza. Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli”.

La potenza dell’infante che succhia il latte, afferma il salmista, riduce al silenzio nemici e ribelli. Significativa vicinanza fra la tradizione biblica e quella confuciana: il simbolo della pace non è reso dalle armi, ma dalla bocca e dalla spiga, dalla bocca dell’infante e dalla mammella della madre. Il mio vecchio vocabolario degli ideogrammi dice così la sua interpretazione di 和 : Questo ideogramma dice la sensazione di pace che due persone provano quando accostano il loro cuore. Poi elenca i tanti modi in cui il giapponese può intendere l’ideogramma, a seconda della sua collocazione nel testo. Yawaragu, e significa ammorbidire. Yawaraka, e significa morbido. Tairaka, e significa piano. Tairagu, e significa rendere piano. Odayaka, e significa pacifico, calmo. Atataka, e significa caldo. Nagi, e significa bonaccia. Inoltre lo stesso ideogramma usato nei nomi a volte è letto wa, ma altre volte kazu, e così abbiamo i nomi molto comuni di Kazuko, Figlia della pace, e il corrispettivo maschile Kazuo oppure Kazuto, Figlio della pace. L’ideogramma 和 si combina con altri e forma alcune parole fra le più sacre dell’esistenza umana. 調和, chōwa, che dice armonia. 穏和, onwa, che dice calda pacatezza – benevolenza, come quella di papa Francesco. Soprattutto sottolineo 平和, heiwa, che nella lingua giapponese è il nome ufficiale della pace. I trattati di pace stilati dai grandi della terra spesso riflettono gli equilibri di potere, per cui pace significa predominio dei forti e soggiogamento dei deboli. La pace ottenuta con la guerra non è accostamento di cuori, ma seme di future rivolte di popoli vinti contro i loro vincitori. La pace, 平和 – heiwa, è reale solo quando è contemporaneamente 調和, chōwa, ossia armonia. e 穏和, onwa, ossia calda pacatezza – benevolenza. Tutti i popoli, in oriente come in occidente, nella loro storia hanno profanato la pace imponendola con le armi e attraverso il versamento del sangue. Le culture e le religioni troppo spesso hanno mistificato le contrapposizioni fra i gruppi umani con le loro scomuniche reciproche, fomentando gli scontri violenti fra i popoli. La pace, 平和, heiwa, è autentica quando è 調和, chōwa, ossia armonia. Quando è 穏和, onwa, ossia calda pacatezza – benevolenza. Ogni qualvolta la Natura e l’Uomo si incontrano fino alla fusione delle loro essenze, lì si origina la pace che è armonia e benevolenza. La Natura produce le spighe di riso, di frumento e tutti gli altri viveri che nutrono la vita. L’uomo vi riversa il palpito del cuore e la luce del pensiero. Così, la Natura e l’Uomo, insieme concepiscono l’arte. Quando il pittore delinea sulla tavola il sole che nasce o che tramonta, contemporaneamente più autori cooperano alla stessa opera d’arte. L’uomo con il suo cuore e la sua mente vede e personalizza la scena da dipingere, la natura con il sole che sorge o tramonta detta all’uomo l’immagine da delineare, il colore e i il pennello rendo possibile l’incontro tra il pittore e la scena naturale. L’autore di ogni opera d’arte, da quella pittorica a quella musicale, è sempre il concerto tra cuore umano ed elementi naturali. Mi piace concludere questa breve riflessione con l’immagine delle mani congiunte in venerazione e preghiera. La parola giapponese che dice le mani giunte è 合 掌 , gasshō. Ultimamente ho ricevuto la visita del bonzo Tatsusawa Nichikō, della scuola Nichiren, venuto dal Giappone a incontrare il figlio Kyōichi, studente di canto lirico a Milano e assiduo frequentatore della nostra messa domenicale in lingua giapponese. Con l’insigne ospite feci visita al cardinal Tettamanzi che, dopo il ritiro dalla attività pastorale, risiede nel centro di spiritualità Sacro Cuore a Triuggio. Il bonzo presentò al cardinale un dipinto a lui molto caro, che raffigura le mani giunte dell’uomo che si sovrappongono alla sagoma del Fijiyama. La forma conica perfetta del monte si combina armonicamente con le mani dell’uomo in preghiera. Il bonzo aggiunse pressapoco queste parole: Il Fujiyama è le mani giunte della madre terra. Noi esseri umani impariamo dal Fujiyama e insieme congiungiamo le mani. Madre Terra e i suoi figli, ossia noi uomini, preghiamo assieme. Il cardinal Tettamanzi, compiaciuto, aggiunse una sfumatura caratteristicamente evangelica e disse pressapoco queste parole: Una delle due mani è quella che dà, l’altra è quella che riceve. Insieme sono le mani dell’amore. Nei dipinti dell’amico Giuseppe Siniscalchi vedo l’armonia del dare e del ricevere. Secondo le occasioni, le mani del dare e del ricevere si invertono, e quella che ha dato ora riceve, e quella che ha ricevuto ora dà. Nel dare, ringraziando di poter dare, e nel ricevere, ringraziando di poter ricevere, lì vedo la pace, la spiga e la bocca, il bimbo che succhia e la mammella della madre. Lo stomaco del bimbo si riempie e la mammella si svuota. Un giorno il bimbo accudirà alla madre anziana. 和.

← Torna alla pagina Testimonianze