Maestro Shinji Kobayashi (già docente di arte ed ex presidente di musei giapponesi quali quello di Joetsu)

Il mondo pittorico di Giuseppe Siniscalchi

 

il_570xN.473074164_owm1Il pittore italiano Giuseppe Siniscalchi, di professione avvocato, si sta prodigando in una serie di dipinti attraverso cui intende fondere la tradizione artistica giapponese e quella occidentale. Con questo scritto intendo esprimere alcune mie valutazioni su questo tentativo pittorico di Giuseppe. Chiedo scusa se prima di affrontare l’argomento vi rubo un po’ di tempo per raccontarvi un episodio. Ero in terza superiore (1950), quando nell’ora di storia occidentale il professore ci fece un discorso che mi impressionò profondamente. Si dice che quando Francesco Petrarca, noto poeta e filosofo italiano del 1300, dopo aver scalato una montagna e raggiunta la cima, abbia esclamato così: “La montagna l’ho sotto ai miei piedi”. Il professore aggiunse che questo fatto storico è come il simbolo dell’alta superiorità dell’essere umano sulla natura, raffigurata dalla montagna. A quell’età io trovai questo discorso meraviglioso. Pensavo, infatti, che se attraverso il Rinascimento il genere umano aveva potuto ottenere abbondanti benefici materiali, ciò fu proprio grazie all’applicazione del principio della civiltà occidentale che ritiene la natura essere uno strumento nelle mani dell’uomo per il raggiungimento dei suoi profitti. Era l’anno 1950, quando in Giappone ferveva lo sforzo per ritrovare la prosperità perduta durante gli anni della guerra del Pacifico. Era l’epoca in cui l’appello che un po’ ovunque circolava come un ritornello era quello di copiare in tutto il sistema dell’Europa, raggiungerlo e sorpassarlo. La conseguenza fu che in quegli anni i valori tradizionali giapponesi subirono una profonda svolta. Fu nell’anno 1956, proprio quando la suddetta sete di ricostruzione era giunta all’apice, che lo scalatore giapponese Maki Aritsune raggiunse la vetta Manaslu della catena himalayana. La notizia, diffusa in tutto il mondo, ai giapponesi offrì una luminosa occasione di riscatto dal clima di sfiducia che prevaleva. Quando lessi il diario della scalata che Maki pubblicò con il titolo “La scalata del Manaslau”, spontaneamente rievocai le parole del Petrarca che avevo udito in terza Liceo. L’approccio dei due verso la montagna è del tutto opposto. Maki Aritsune non usa mai espressioni come conquista della montagna. Scrive invece che ha raggiunto la vetta abbracciato dalla montagna ed esprime il suo rapporto con la montagna come una convivenza, e mai usando espressioni di contrapposizione verso la natura. E’ il 和 (WA), il sentire profondo che scorre sul fondo della cultura giapponese. La lettura del testo di Aritsune mi commosse profondamente e da allora provo altrettanto profondo dissenso verso le parole di Petrarca. Fu un’esperienza della mia identità giapponese. Detto ciò, giunti qui, dobbiamo riconoscere che l’andamento del mondo, Giappone compreso, è stato proclive al pensiero europeo simboleggiato da Petrarca. Il risultato è il raggiunto beneficio dell’odierna ricchezza materiale. Ma anche un altro risultato: infatti noi stiamo sempre più smarrendo il nostro legame con la natura e il legame fra di noi. Non possiamo chiudere gli occhi davanti all’evidenza che ci troviamo in una carestia spirituale, assaliti da un vago senso di instabilità e di solitudine. Ci sarà mai una via liberatoria da questa situazione di crisi? In un recente incontro Giuseppe Siniscalchi mi ha mostrato i suoi dipinti e mi ha parlato della sua visione artistica. Benché non intenzionale mi fu spontaneo evocare il discorso appena fatto su Petrarca e Maki Aritsune. Ho riscontrato molto interessante il fatto che Giuseppe, un concittadino del Petrarca, alcuni secoli dopo ricerchi la fusione dell’arte giapponese e di quella occidentale. Fu con gioia che ho constatato che finalmente la fusione dell’arte giapponese così ben rappresentata da Miki Aritsune e quella occidentale stava avvenendo attraverso il signor Giuseppe. Pensai pure ho questo potrebbe costituire un’opportunità salvifica dalla crisi spirituale in cui l’uomo d’oggi versa. Potrebbe gettare un raggio di luce sul futuro dell’umanità. Fu per spiegare come è maturato questo mio pensare che ho ritenuto necessario premettere il discorso appena fatto. Nel 2011 presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano avvenne il primo incontro di Giuseppe con lo scultore giapponese Azuma Kenjirō. Fu quell’incontro a risvegliare in Giuseppe un profondo interesse verso la cultura giapponese. Così Giuseppe decise di buttarsi nell’arte della pittura, verso cui si era sentito inclinato fin da fanciullo. A ingaggiare in lui questa appassionata ricerca di una sua forma espressiva sta la forte attrazione che avvertiva verso le forme giapponesi animate dal 和 (WA). A monte di questa attrazione verso la cultura giapponese, probabilmente è da riconoscere la presenza della sua stupenda sposa, nativa di Jōetsu. Il fatto che Giuseppe, un tipico figlio della cultura occidentale, dimostri un profondo interesse verso la sensibilità giapponese del 和 (WA) e abbia fatto di questa sensibilità l’energia motivante la sua ricerca pittorica, tutto ciò – nemmeno da dire – mi rende molto felice. La comprensione della cultura giapponese rimase sempre ostica per gli occidentali, tuttavia il fatto che grazie a iniziative come questa ora salga sulla ribalta internazionale contiene un grande significato non solo per il Giappone, ma per la storia futura dell’umanità. Così penso. I quadri che Giuseppe dipinge a tempra si presentano al mondo come un qualcosa di unico. I personaggi dei suoi quadri oltrepassano le differenze di questa o quella nazione o etnia. Sembrano cittadini di un ambiente cosmico. In tutti i suoi quadri si percepisce in grande la dimensione dell’affabile rapporto tra l’essere umano e la natura. Non solo, vi si percepisce anche come una sinfonia tra la magnificenza eterna del cosmo e la precarietà della vita umana. Nei quadri di Giuseppe è impresso il forte messaggio che tutto quanto esiste è 環 (WA), unito in un tondo legame, senza alcuna discrepanza. Evidentemente ciò significa anche domanda di pace per il mondo intero. I due ideogrammi 和 (WA) e 環 (WA) – differenti ma dalla stessa lettura (inserzione del traduttore) – nella lingua giapponese evocano un significato collegato. Tutto mi fa pensare che Giuseppe ne sia a conoscenza. I quadri di Giuseppe hanno una struttura semplicissima. Proprio perché non si perde in accorgimenti tecnici, la scena dipinta risulta essenziale ma ricca di richiami sottintesi, sembra un momento contemplativo. Fra i dipinti che Giuseppe mi ha mostrato ne scelgo uno, su cui voglio esprimere alcune impressioni. Di questo dipinto ignoro il nome, ma non importa. Al centro del quadro sta, piegata verso il basso, una graziosa donna dalle fattezze orientali, coperta fino agli occhi da un cappello. In alto è dipinta la luna che riversa una luce pallida sulla donna e sull’ambiente circostante. Interpreto che Giuseppe, proprio perché italiano, a bella posta abbia dipinto la donna con fattezze orientali a significare che ha dipinto da un livello oltre ogni appartenenza, sia la sua occidentale, ma anche quella orientale. I piedi e le mani del personaggio dipinto sono affossati nella terra, come se stesse nascendo dal ventre della terra. La donna dipinta è un tutt’uno con la terra, e insieme è figlia della terra. Contemporaneamente è un tutt’uno con il cosmo, oltre i confini del tempo e dello spazio. E’ questo il richiamo che proviene dall’ideogramma 和 dipinto sopra il cappello. Vedendo questo dipinto di Giuseppe mi fu spontaneo evocare l’ideogramma 能 (NŌ) della tradizione teatrale giapponese. Il motivo è questo: negli avvenimenti messi in scena nel teatro 能 (NŌ) non c’è separazione tra passato, presente e futuro. Vi è rappresentato il mondo oltre il tempo e lo spazio. La scenografia è semplice, senza alcuna aggiunta. Il volto degli attori è coperto dalla maschera. L’effetto sonoro è surreale. Sotto il nome di Takigi Nō – Nō della legna da ardere (nota del traduttore) – il Nō viene esibito anche all’aperto. In un certo senso il 能 (NŌ) è il luogo dell’incontro solenne della natura e del cosmo. Tutti gli esseri esistenti si correlano nel tempo e nello spazio, nel tondo legame del 環 (WA). E’ in questo senso che riconosco che nell’essenza del mondo pittorico di Giuseppe c’è qualcosa che comunica con il mondo del 能 (NŌ). Viene spontaneo chinare il capo davanti all’assiduo sforzo che questo uomo conduce per la fusione armonica dell’arte giapponese e dell’arte occidentale. La sua attività è animata dal 和 (WA), pacificazione universale. E’ inoltre preghiera per il raggiungimento della pace del mondo. Formulo l’augurio che questa sua attività continui nel futuro, per la liberazione dalla carestia spirituale che l’umanità oggi sta attraversando. Può sembrare che questo testo, il preambolo compreso, sia finito per diventare un discorso alquanto arbitrario. Ne chiedo venia.

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